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MYSTIC RIVER
(MYSTIC RIVER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 novembre 2003
 
di Clint Eastwood, con Sean Penn, Kevin Bacon, Tim Robbins, Laurence Fishburne, Marcia Gay Harden, Laura Linney (Stati Uniti, 2003)
 
Ben oltre l'abusato riferimento all'origine letteraria (il denso, prezioso giallo di Dennis Lehane), MYSTIC RIVER appartiene alle opere più personali di Clint Eastwood. Nelle sue caratteristiche come nelle sue contraddizioni; perché è su queste, quasi facendo tesoro delle proprie ambiguità, che si costruisce.

Boston anni 70, tre ragazzini giocano sulla strada, la palla, sfuggita nel tombino, finisce per perdersi nelle fogne. E, con lei, l'innocenza; uno dei tre è sequestrato da una coppia di pedofili. Trent'anni dopo, la relazione fra loro si riavvia: la figlia di Jimmy (Sean Penn) viene assassinata, Sean (Kevin Bacon) è l'investigatore che conduce l'inchiesta, Dave (Tim Robbins), la vittima di allora, l'individuo ineluttabilmente distrutto, non può che trascinarsi appresso quella che sbrigativamente viene definita fatalità.

E' una delle chiavi del film. Ma nella sequenza conclusiva, Eastwood fa assistere tutti e quanti alla sfilata del Columbus Day, la cerimonia che gli Stati Uniti dedicano alla scoperta del navigatore genovese, ma pure ai propri principi democratici, alla continuità di una lotta fra il bene ed il male che dai tempi delle Nuove Frontiere li ha condotti a quelli della guerra di Bush. Mentre sfilano fanfare e stendardi, il regista inquadra il sorriso beffardo di Sean Penn; ed il gesto dell'amico poliziotto Kevin Bacon che, con il l'indice ed il pollice spianato, finge di sparargli al di sopra della folla. Vorrà dire, "finirò per incastrarti", oppure "custodiamo assieme un segreto"? E' un interrogativo che non serve tanto a giudicare se l'ex ispettore Callaghan abbia rinnegato il cinema "reazionario" che lo rese celebre: ma a comprendere come di quella scomoda complicità l'ultimo grande della tradizione hollywoodiana abbia ormai fatto oggetto di riflessione. Non per dettare conclusioni; ma porre degli interrogativi.

Dimenticare i torti e le infamie, in nome di un oblio che possa giovare alla causa nazionalistica; o affidarsi ai valori della memoria, diffidando da una morale fin troppo facile piegare alle proprie esigenze? Dietro le pieghe del thriller pauroso che sconfina ben presto nella livida tragedia corale, nei chiaroscuri melanconici che invadono progressivamente i rapporti fra le tre solitudini che campano in MYSTIC RIVER, sotto l'apparente normale funzionalità del classicismo stilistico di Eastwood, si annodano senza mai sciogliersi i quesiti sulle origini del male. Che non è solo quello evidente, generato dalla violenza. Ma pure l'altro, più subdolo, che nasce dagli equivoci, dal sospetto e dalla mistificazione; fino a penetrare nell'intimo degli affetti. Sono le ombre che affiorano, cupe e grevi, di un film costruito come un labirinto: che più avanza nell'ansia di conoscere, più si perde nei condizionamenti che i personaggi si trascinano dal loro passato.

L'energia e l'emozione del film più sconsolato e crepuscolare dai tempi de GLI SPIETATI è tutta contenuta nella padronanza dello stile: contrasti e coincidenze, passato e presente non sono quasi mai affidati alla pura illustrazione della sceneggiatura. Ma, oltre che alla straordinaria immedesimazione degli attori, alla forza tranquilla e sovrana della regia; puntualizzata da quella serie di panoramiche verso un cielo inclemente che le iscrive nel tempo, le ferite lasciate dalla luce radente, fisionomie spaccate in due, mezze facce illuminate o lasciate al buio, senza vie di mezzo, senza grigi, mezze tinte, sfumature, mezze verità. Lungo quel fiume nero e denso che segna Boston come il destino di un mondo, di una società alla quale vengono concesse ormai poche possibilità per sfuggire alle proprie contraddizioni.


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